La facciata della basilica dei santi Cosma e Damiano ad Alberobello - Basilica dei Santi Medici di Alberobello - Iconografia e Venerazione dei santi Cosma e Damiano-La Basilica

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La facciata della basilica dei santi Cosma e Damiano ad Alberobello

Basilica dei santi medici
a facciata ardentamente voluta dal Morea e divenuta, grazie al Curri, raffinata impresa di emulazione dell'antico, fu definita "un'opera d'arte, senza dubbio eccellente, di stile misto... Le colonne, i capitelli, gli attici, la fila delle svelte balaustre, le decorazioni, le nicchie, le statue, il tutto insieme una vera bellezza. Due alte cuspidi sono ai lati, che faranno ala alla cupola piu alta e maestosa che progettata dal Curri ma non ancora realizzata dovrebbe sorgere nel mezzo". Anche Cosimo Bertacchi ritenne l'opera un "lavoro stupendo" e lo è. Il diffondersi di una classe, mediamente colta, non poté che suggerire il bello, il meglio, l'optimum per i due Santi e la seduzione è ancora oggi assicurata. Fu il Morea, auspice, che prese i contatti e affidò ad Antonio Curri il prestigioso incarico di predisporre il nuovo progetto e questi, piu che quarantenne, ebbe l'occasione per affermarsi nella sua città natale come architetto autonomo. La piccola comunità religiosa esigeva un progetto rappresentativo e prestigioso, in grado di risolvere il problema dell'esiguità dello spazio a disposizione e adeguarlo alle esigenze concrete del momento.

Presupposto fondamentale dell'architetto fu la considerazione di un'operazione urbanistica che doveva, comunque, culminare con l'abbattimento di alcuni trulli, prossimi al vecchio tempio, la qualcosa permise all'edificio di venire su con regolarità e ampiezza. Sotto accurata direzione, a partire dal 1882, vennero innalzate le fondamenta.
Il tema visivo dominante è il neoclassicismo, una concordanza di classica maestosità e di ricerca spaziale; eccezionale momento creativo di fine Ottocento da parte dell'artista, il quale operò soprattutto in Napoli e dove attese anche agli altri progetti che gli vennero commissionati dal suo minuscolo paesello e che sprigionarono una dimensione intellettuale e spirituale sovente superiore a quella di altri protagonisti locali. Certamente la chiesa assurse a monumento emblematico di una cultura religiosa completamente diversa dall'esperienza urbanistica di Alberobello, interamente edificata a trulli. Che effetto ebbe sulla popolazione quella preponderante emergenza volumetrica che prendeva corpo in uno spazio urbano articolato da viuzze e dall'edilizia povera e minore, propria del trullo? Sicuramente fu ammaliante. Ecco cosa scrisse a Roma, nel 1888, il vescovo mons. Casimiro Génnari a proposito: "Questa è stata ampliata con un meraviglioso progetto di un architetto del luogo, molto bravo e rinomato, e a spese del Municipio, tanto da poter reggere il paragone per la sua bellezza con le chiese di qualunque grande città".
Nel nostro tempo essa domina e si impone senza darlo a vedere. La chiesa è davvero bella, il suo aspetto così imponente non ha eguali nel Meridione e, salvo poche eccezioni, ha due campanili. L'architetto aveva previsto la realizzazione di una cupola che per vari motivi non è stata ancora realizzata.

La facciata esterna, costruita in pietra calcarea, è scandita da lunghe lesene con capitelli a semplici cimase intagliate. Due colonne corinzie, per un terzo lisce e poi scanalate, poggiano su un basamento e giocano con colonne romane con capitelli compositi, che sorreggono l'arco arricchito di un fregio, che a sua volta regge la grande trabeazione, sorretta dalle precedenti colonne.
Il linguaggio neoclassico è elaborato in modo monumentale e imponente con paraste raddoppiate somiglianti alle colonne. Esse si elevano dal piano nobile fino alla trabeazione su cui, in modo preponderante, si affaccia il frontone triangolare la cui base coincide con il cornicione aggettante con interminabili mensole, che si alternano a fiori solo nella parte antistante, e che in modo uniforme rimarca il perimetro di tutta la chiesa, conferendo continuità di movimento.

Nella scenografia il Curri guida lo sguardo su tutto il tema geometrico con marcata fluidità spaziale e invita ad elevare lo sguardo ai campanili, "arditi gemelli", che ripetono similmente la facciata, ricomposta, sempre con i medesimi archi con chiave e i frontoni aggettanti, per otto volte. Vivace è il giuoco dialettico del primo ordine, che si eleva su un elegante bugnato.
L'esterno sembra ispirarsi a Trinità di Monti, risulta piu teso, ma ricco di linee geometriche. La straordinaria originalità della chiesa è tutta nell'armonica verticalità che un domani (si spera presto) troverà sfogo nell'ariosa curvatura della cupola.

L'architetto, per riempire la facciata, l'ha adornata con due custodi, due colossi della Chiesa, gli apostoli Pietro e Paolo, che, dall'alto del frontone, dominano la piazza, il corso, la città. Con gesto energico della mano destra, san Pietro brandisce le chiavi e con l'altra fortemente suggestiva indica
in modo imperioso il Cielo, la salvezza; san Paolo con la destra addita l'empireo, dove è la sede di Colui che tutto può e tutto salva; nella sua sinistra è il libro della Parola con il riferimento ai momenti difficili attraversati dalla Chiesa. I volti con la loro mimica severa e suadente al tempo stesso, i capelli e la barba, fittamente scolpiti, sono in sintonia con i panneggi solcati da pieghe che li movimentano. L'arditezza del prospetto è interrotta da una balaustra che raccorda i due campanili, mentre comprime la meridiana a sinistra e due orologi sulla destra. Due cherubini senz'ali, aggrappati al globo, sorretto da un terzo, mostrano tutta la loro paura dovuta all'altezza.
Scudi comaschi, rotondi e romboiformi, sono un insieme perfetto con le bifore. L'ampia scalinata con diciassette gradini decrescenti poggiava su materiale di risulta e premeva sul luogo di sepoltura, una minuscola cripta, che ha custodito fino a settembre 1984 numerosi resti umani.

L'amministrazione comunale con a capo il sindaco il dr. Nicola Agrusti con la presenza del clero inagurò la facciata il 20 settembre 1885 con il concorso di tutta la popolazione. Il costo dell'opera, a totale carico dell'Amministrazione Comunale, così come è stato confermato innanzi dal vescovo Casimiro Gennari, è stato di lire 240.085 provenienti dall'abbattimento di 36.768 alberi di quercia avviati tra novembre 1882 e settembre 1885 [69].
 
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